In sella all'Arno. Dal verde del Casentino al blu del Tirreno in bicicletta by Enrico Caracciolo

In sella all'Arno. Dal verde del Casentino al blu del Tirreno in bicicletta by Enrico Caracciolo

autore:Enrico Caracciolo [Caracciolo, Enrico]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Bosnia-Erzegovina; Serbia; viaggi; viaggio; Medjugorie; Tito;, Cycling, Sports & Recreation, Special Interest, Ecotourism, Travel, Dove iniziano i Balcani; Francesca Cosi; Alessandra Repossi; Ediciclo; Balcani; ex Jugoslavia; Slovenia; Croazia
ISBN: 9788865493342
Google: 92abzQEACAAJ
editore: Ediciclo
pubblicato: 2020-04-15T16:19:43+00:00


Gli occhi e la valigia di John

La Ciclovia dell’Arno a questo punto è molto più frequentata. Non da viaggiatori di lungo cabotaggio ma da ciclisti urbani che risalgono il fiume per muovere un po’ le gambe, andare al lavoro o trovare amici. Il respiro di Firenze è nell’aria. E qui l’Arno parla con vocaboli ormai scomparsi: navalestri, renai, mugnai e foderatori. Uomini silenziosi ripiegati su se stessi, spesso affaticati, a volte impauriti. Non esistono più da quando l’alluvione del ’66 ha spazzato via ogni cosa che fosse in qualche modo legata al passato. In realtà i foderatori che pilotavano enormi zattere formate dai tronchi d’abete provenienti dal Casentino e da Vallombrosa hanno finito di sfidare gli umori instabili del fiume nel XIX secolo, quando strade e ferrovie hanno aperto altri orizzonti e facilitato trasporti e commerci, compreso quello del legname. Unica traccia di questo mondo sono le due aperture sui lati della pe­scaia di Rovezzano: le porte foderaie da dove sono passati migliaia di tronchi e tantissimi foderatori. Dall’altra parte del fiume, sulla riva sinistra, l’antico mulino della Nave oggi è un albergo. E lì vicino c’è stata per tanti anni un’osteria frequentata dagli uomini del fiume. Si incontravano qui con le mani umide e consumate per trovare un po’ di calore in una zuppa, raccontarsi fatiche e drammi, viaggi sugli zatteroni, compagni d’avventura inghiottiti dalle correnti, passaggi complicati. Imprecazioni e sospiri. Il rapporto con l’oste non era dei più facili, perché gli uomini del fiume arrivavano stanchi e affamati ma spesso con le tasche vuote. Aldone, oste burbero e poco incline al compromesso, raccontava che «questi foderatori son fatti tanto meschini che non hanno denari né credito» e quindi era preferibile essere pagati in anticipo. Il menu dei foderai era più povero delle loro tasche e c’era poca scelta: pan di legno, ovvero polenta fatta con farina di castagne e “vin dei nuvoli”, nome poetico che stava a indicare semplicemente l’acqua piovana. La stessa acqua con cui mi sono ubriacato nel Valdarno e con cui brindo entrando in città. Ma Firenze è la città della grande bellezza, infatti quando pedalo ormai vicino a Ponte Vecchio, nella coltre di nubi si apre uno spiraglio di luce calda e radente che incendia il lungarno e la città, accarezzando la cupola del Brunelleschi e il campanile di Giotto resi lucidi e brillanti dal “vin dei nuvoli”.

«Firenze in bicicletta è un viaggio infinito. Puoi girare per la città senza fermarti mai per ore. Giorno e notte». Me lo dice sempre John Weissenrieder, compagno di lunghe pedalate in giro per l’Italia. Americano di Boulder, in Colorado, ha corso da professionista e con la mountain bike ha mangiato polvere e fango con i grandi biker degli anni Novanta. Non ha mai appeso la bici al chiodo, ma quando ha smesso di gareggiare il fiume della vita l’ha portato a Firenze dove in una bottega profumata di legno ha iniziato a costruire chitarre. Tornati da una pedalata si chiacchierava aspettando la notte. John parla piano, ti



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